Il d.lgs. n. 231/20011e il modello organizzativo 231 hanno introdotto nel nostro ordinamento un peculiare meccanismo di imputazione della responsabilità ai seguenti soggetti diversi dalle persone fisiche: enti forniti di personalità giuridica, società e associazioni anche prive di personalità giuridica. In virtù di detto meccanismo, è prevista l’imputazione all’ente della responsabilità derivante dalla commissione di alcuni reati, i cui autori sono sempre persone fisiche, in considerazione del particolare legame che esiste tra lo stesso ente e il soggetto che ha materialmente commesso l’illecito.
L’art. 1, comma 2, del decreto circoscrive l’ambito di applicazione delle disposizioni in esso contenute a tutti gli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
Schematizzando, sono soggetti alla norma in commento:
- le persone giuridiche private;
- le società di persone, di capitali, cooperative;
- le associazioni non riconosciute;
- gli enti pubblici economici.
Si ritiene, inoltre, che la norma debba essere indirizzata ad ogni tipo di soggetto collettivo, ponendo l’attenzione sulla natura effettiva dell’ente. In altre parole, ai fini dell’assoggettamento alla norma appare corretto che la discriminante non debba essere ricercata nella tipologia di soggetto, bensì nell’attività da esso in concreto svolta. In tal senso si è pronunciata anche la recente giurisprudenza di legittimità (Cass., 21 luglio 2010, n. 28699), che ha affermato la responsabilità ex d.lgs. 231/2001 delle società a partecipazione pubblica quando svolgono attività economica.
A quali associazioni ed Enti no Profit deve essere applicato il Modello Organizzativo 231?
L’ambito di applicazione del Modello Organizzativo 231 riguarda le Società di persone, le Società di capitali¸ le Società cooperative¸ le Associazioni con personalità giuridica¸ le Associazioni senza personalità giuridica¸ gli Enti pubblici economici e gli Enti privati concessionari di un pubblico servizio.
Quali sono i soggetti che sono esclusi dall’obbligo di utilizzare il Modello Organizzativo 231?
I soggetti esclusi dall’ambito di applicazione del Modello Organizzativo 231 sono lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali (Comuni, Regioni, Province), gli altri enti pubblici non economici e tutti gli altri enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.
Gli enti appartenenti al Terzo Settore: modello organizzativo 231.
A partire dagli anni ’70, anche a seguito della crisi del Welfare, si è registrato nel nostro ordinamento un fenomeno di crescente espansione delle organizzazioni non profit a carattere produttivo e imprenditoriale che affiancano lo Stato negli ambiti tradizionali di intervento di utilità collettiva, cui è conseguito il moltiplicarsi della legislazione settoriale di sostegno.
Sulla base di questi dati storici e statistici, oggi si utilizza la locuzione “ente non profit” quale sinonimo di ente non lucrativo ovvero di ente del Libro I del Codice Civile, espressioni il cui comune denominatore è rappresentato dall’assenza della previsione di un lucro soggettivo in favore dei componenti.
Il progressivo aumento del numero di enti considerati dal legislatore meritevoli di appartenere al settore non profit, che, come si è detto, è stato scandito da un susseguirsi di leggi speciali, ha finito, tuttavia, con lo svuotare la normativa di diritto comune – ed in particolare quella dedicata alle persone giuridiche –, relegata ormai a disciplinare fenomeni marginali. La nozione unitaria di ente si è andata frantumando in favore di una proliferazione di nuove forme giuridiche analizzate nel dettaglio nel prosieguo del lavoro.
Ciò che accomuna le diverse tipologie di enti non profit è, come accennato, la non lucratività dello scopo. Tale criterio è pressoché pacificamente ritenuto in dottrina quale quello maggiormente valido al fine di individuare la divisione esistente tra mondo profit e mondo non profit, criterio che, in concreto, si realizza a livello organizzativo e statutario mediante la previsione del divieto di distribuzione degli utili, accompagnato da quello dell’obbligo di devoluzione a soggetti analoghi o a fini pubblici in caso di scioglimento.
Tale fattore non comporta, tuttavia, che il fine dell’ente non profit debba essere necessariamente altruistico, essendo, viceversa, numerosi gli enti costituiti per procurare ai propri associati dei benefici, purché, come si è detto, non sia prevista tra i partecipanti una distribuzione di utili.
Caratteristiche della legislazione speciale in materia di enti no profit. L’autofinanziamento!
Una delle caratteristiche della legislazione speciale è, quella di favorire l’autofinanziamento delle organizzazioni non lucrative anche mediante l’esercizio di attività economiche.
Così avviene, ad esempio, per gli enti di volontariato, che possono trarre risorse da “attività commerciali e produttive marginali” (art. 5, comma 1, lett. g, l. 11.8.1991, n. 266); le associazioni di promozione sociale, che possono autofinanziarsi mediante “proventi della cessione di beni e servizi agli associati e a terzi, anche attraverso lo svolgimento di attività economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzate al raggiungimento degli obiettivi istituzionali” (art. 4, lett. f), l. 7.12.2000, n. 383); le fondazioni enti lirici, che oltre a gestire teatri e spettacoli, possono svolgere attività commerciali ed accessorie in conformità agli scopi istituzionali (art. 3, comma 2, d.lgs. 29.6.1996, n. 367); e le fondazioni bancarie che possono esercitare imprese solo se direttamente strumentali ai fini statutari ed esclusivamente nei settori rilevanti (art. 3, comma 1, d.lgs. 17.5.1999, n. 153). Da ultimo, possono assumere altresì natura imprenditoriale gli enti dotati della qualifica di ONLUS, nei limiti previsti dalla legge e godendo dei relativi benefici fiscali (art. 10, comma 5, d.lgs. 460 del 1997).
Il favor del legislatore verso l’autofinanziamento degli enti appartenenti al Terzo Settore non è, tuttavia, indiscriminato: il riconoscimento della piena legittimità di svolgimento di attività imprenditoriale si coniuga, infatti, con una delimitazione precisa dei settori operativi e ciò al fine di fugare i rischi connessi alla progressiva deviazione dell’ente dai propri fini istituzionali.
Lo svolgimento dell’attività imprenditoriale negli Enti del Terzo Settore!
Lo svolgimento di attività imprenditoriale viene, infine, utilizzato in dottrina al fine di individuare quattro modelli diversi di esercizio e, per l’effetto, di tipologie di enti:
- (i) il primo, soggetto al vincolo della marginalità, tipico delle organizzazioni di volontariato;
- (ii) il secondo subordinato ai requisiti della ausiliarità e sussidiarietà, riconducibile alle associazioni di promozione sociale;
- (iii) il terzo, riguardante le fondazioni di origine bancaria, che possono svolgere attività d’impresa purché strumentale;
- (iv) il quarto, riferibile alle cooperative sociali, in cui l’attività d’impresa è esercitata in via primaria od esclusiva, nonché all’impresa sociale, dedicata all’esercizio di attività d’impresa in via stabile e principale.
Applicabilità della normativa al Terzo Settore
Fin dall’entrata in vigore del d.lgs. 231/2001, si è a lungo discusso in merito alla applicabilità dello stesso al Terzo Settore. Invero, trattandosi nella maggior parte dei casi di associazioni (espressamente incluse ex art. 1 del decreto), il loro assoggettamento alla disciplina de qua avrebbe dovuto essere scontato. Tuttavia, attesa la “sensibilità” di alcuni servizi offerti da enti quali ONLUS, ONG si è fortemente dubitato che questi ultimi potessero essere assoggettati alla responsabilità da reato: a favore dell’esonero sono state addotte l’assenza del fine di lucro e la carenza del necessario carattere imprenditoriale dell’attività svolta.
Superamento dell’interpretazione dei dubbi interpretativi in tema di modello organizzativo 231.
Si ritiene che i dubbi possono essere superati avendo riguardo sia al tenore letterale della disposizione, sia all’attività in concreto svolta da molti di questi enti: basta pensare ai valori immobiliari e mobiliari detenuti da alcune fondazioni, ovvero alle associazioni sportive dilettantistiche, che in molti casi diventano strumento di frodi fiscali, truffe e malversazioni.